La cessione dell'Alaska
Per i russi la colonia in Alaska non è fruttuosa, l'ennesima landa desolata simile alla costa costa siberiana, per questo motivo provano più volte a spingersi verso sud, dove però incrociano gli sguardi indispettiti di britannici e spagnoli: è evidente, da lì devono andarsene.
Scritto da Alessandro Averna
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Il Canada Britannico, vicino dell'Alaska russa, è sempre più pericoloso, colonizza le terre sul confine russo ed è chiaro che di lì a poco la stessa Alaska diventerà rivendicazione britannica, quindi, per timore di rimanere con un pugno di neve in mano, lo zar Alessandro II deciderà di incaricare l'ambasciatore russo, Eduard de Stoeckl, a propinare la svendita dell'Alaska.
Dalla parte americana se ne occupa il segretario di stato (ministro degli esteri) William Seward. L'accordo viene raggiunto abbastanza agilmente: gli Stati Uniti pagheranno 4$ a km² per un totale di 7,2mln di dollari, somma che ad oggi corrisponde a circa 121mln di dollari. L'accordo è poi ratificato da un senato scettico il 9 Aprile 1867.
La stampa non vede di buon occhio la vicenda: sono soldi dei contribuenti sprecati per comprare "la ghiacciaia di Seward", posto utile solo per allestire "lo zoo dei pinguini del presidente Johnson". Ebbene il governo americano non dà torto sull'inutilità del possedimento, ma spiega che vi sono ragioni geopolitiche: 1) aiutare i russi, fedeli durante la guerra civile americana; 2) accerchiare i britannici; 3) lanciare un altro monito agli europei (per la dottrina Monroe gli Stati Uniti devono essere l'unica potenza nordamericana).
Nel 1958 Eisenhower rende l'Alaska il 49esimo stato degli USA e, a ripagare le critiche di 100 anni prima, in Alaska, terra vergine, viene scoperto il giacimento petrolifero più grande di tutto il Nord America, oltre che grandi riserve di gas e oro.