La strage di Portella della Ginestra

01.05.2020

Una volta finita la guerra la situazione in Italia è tutt'altro che stabile: sembra essere tornati alle stesse condizioni economiche e sociali subito successive al 1861 o al 1918, solo che i tumulti non sono più plateali come all'epoca, ma iniziano ad avvenire "dietro le quinte".

Scritto da Alessandro Averna

3 min.


Siamo in Sicilia, è il 1° Maggio 1947 e in località Portella della Ginestra, vicino Palermo, si sta per tenere una grande festa di proletari e piccoli artigiani: una grande grigliata di gruppo, dove sono presenti centinaia di persone, che oltre a mangiare ascolteranno un comizio socialista.

La Sinistra è molto forte in Sicilia, quasi quanto la DC, infatti alle ultime elezioni regionali il blocco social-comunista ha ottenuto il 30% dei voti, a discapito dello scarso risultato del Movimento per l'Indipendenza della Sicilia.

Un manipolo di uomini, di idee simili a quelle del MIS, ma dall'ambigua composizione si sta recando proprio a Portella, ma i loro intenti non sono festosi. Alla loro guida vi è Salvatore Giuliano, capo bandito che controlla la città di Montelepre, vicino Palermo. Si tratta proprio di brigantaggio, affiliato all'Esercito Volontario per l'Indipendenza della Sicilia, formazione paramilitare dissoltasi già nel 1946, ma solo sulla carta.

Gli uomini di Giuliano si dividono in due gruppi, uno si dirige verso colle Pizzuta alla guida del boss, trovandosi dinnanzi a un gruppo di cacciatori, che saranno legati e imbavagliati; l'altro sarebbe dovuto arrivare sul colle della Cumeta, ma tornerà indietro per aver incontrato le forze dell'ordine. Questi due colli si trovano proprio ai lati della piana su cui si trova Portella della Ginestra.

Una volta appostati gli uomini di Giuliano aprono il fuoco sulla gente che ascolta il comizio socialista per due minuti. La folla si è dispersa alla ricerca di un riparo qualunque. Al termine delle raffiche di mitra oltre 70 persone sono state colpite, 11 delle quali sono decedute.

I cacciatori che erano stati imbavagliati dai banditi riescono a liberarsi e forniscono informazioni alle forze dell'ordine, che riescono così a capire chi sono i colpevoli. Giuliano è ora latitante, ma le istituzioni non fanno alcun vero e proprio passo verso il suo arresto: eppure tutti sanno che si trova ancora in Sicilia, da dove dirige i suoi affari.

La gente inizia subito a pensare che la strage sia di natura politica, ordita contro la sinistra italiana, ma il ministro Scelba tuonerà chiudendo la faccenda con un'affermazione "era la festa di tutti i lavoratori, non un evento organizzato dai socialisti". Queste parole poco rassicuranti indurranno i vertici socialisti a pensare che lo stesso Scelba fosse coinvolto in qualità di mandante, ma i dati a carico di questa tesi sono sempre stati molto pochi.

In quanto a Giuliano, negli ultimi anni di vita si sente braccato, non dalla polizia, ma da altre organizzazioni malavitose, legate secondo lui proprio al ministro Scelba. In una lettera al giornale "l'Unità" scriverà: "Scelba vuol farmi uccidere perché io lo tengo costantemente nell'incubo per fargli gravare grandi responsabilità che possono distruggere tutta la sua carriera politica e addirittura la vita." Insomma, Giuliano afferma una collusione del ministro nella strage, ed è proprio in questo momento che la giustizia decide di agire, ma in maniera subdola: Salvatore Giuliano viene freddato da un colpo di arma da fuoco del cognato, Gaspare Pisciotta, mandato proprio dalle forze dell'ordine.

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