L'obsolescenza programmata

30.03.2020

Treccani - Espressione con cui si fa riferimento al processo mediante il quale, nelle moderne società industriali, vengono suscitate nei consumatori esigenze di accelerata sostituzione di beni tecnologici o appartenenti ad altre tipologie.

Scritto da Marco Castiglia

2,5 min.


Tale processo viene attivato dalla produzione di beni soggetti a un rapido decadimento di funzionalità, e si realizza mediante opportuni accorgimenti introdotti in fase di produzione (utilizzo di materiali di scarsa qualità, pianificazione di costi di riparazione superiori rispetto a quelli di acquisto, ecc.), nonché mediante la diffusione e pubblicizzazione di nuovi modelli ai quali sono apportate modifiche irrilevanti sul piano funzionale, ma sostanziali su quello formale. Il fenomeno era stato rilevato già nel 1957 da Vance Packard in The hidden persuaders.

E' dunque una strategia di mercato, che punterebbe a dare una sorta di "data di scadenza" anche ai prodotti in teoria durevoli, in modo da stimolare l'acquisto a intervalli ravvicinati, per massimizzare i profitti.

Per le aziende è una prospettiva interessante, ma anche una sfida: per rendere davvero obsoleto un dispositivo è necessario che il modello successivo presenti molte più funzionalità inedite, e che anche chi, tutto sommato, ha ancora un apparecchio che funziona, si senta tentato dal "rottamarlo" (vendendolo per finanziare l'acquisto del nuovo prodotto, oppure passarlo a un altro membro della famiglia).

Purtroppo ci stiamo allontanando sempre di più da dal mito del Nokia 3310, che aveva una vita media della batteria e una durata in giorni, che gli odierni smartphones possono lontanamente sognare.

Un caso piuttosto celebre di obsolescenza programmata è quello della DuPont, l'azienda chimica che ha creato gran parte delle fibre sintetiche e dei polimeri in uso oggi, come neoprene, nylon, corian, teflon, kevlar e lycra.

Proprio il nylon, per le sue grandi caratteristiche di resistenza, venne usato in modo massiccio durante la seconda guerra mondiale e negli anni successivi fece il suo esordio nel mondo civile, per la produzione di calze da donna. Il problema è che le nuove calze di nylon erano troppo resistenti, il che costituiva un pessimo modello di business; la DuPont chiese perciò ai suoi ricercatori di ridurre le prestazioni della fibra utilizzata per le calze e renderla, in poche parole, più facile a rompersi.

Strategie analoghe vennero seguite anche da Xerox e Kodak, e oggi gran parte dei produttori hi-tech, come Apple e Samsung, vengono accusati più o meno velatamente di programmare apposta una durata inferiore a quanto in teoria possibile.

Ovviamente non sempre l'obsolescenza programmata è una politica utile o la più conveniente: settori per consumatori di nicchia, come prodotti di lusso o i fai da te, oppure anche il settore automobilistico, puntano sull'affidabilità dei loro prodotti, poiché essi hanno un livello di innovazione tecnologica relativamente limitato (rispetto a quello degli smartphones ad esempio, o a quello della moda), o che basano il proprio modus operandi sulla qualità.

Ci sono dei casi virtuosi che hanno fatto la storia. La lampadina centenaria ne è un esempio. Una lampadina a incandescenza accesa quasi senza interruzioni da 119 anni, nella caserma dei vigili del fuoco di Livermore-Pleasanton, in California. La longevità ne fa la lampadina con la maggior durata al mondo, motivo per cui è menzionata nel Guinness dei primati. Agli inizi del ventunesimo secolo genera luce con una potenza di 4W.

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