Strage dell'abazia della Benedicta
Chi ha contribuito alla libertà del paese viene generalmente elogiato, ma tristemente molti avvenimenti locali non vengono ricordati se non nelle realtà regionali.
Scritto da Alessandro Averna
1,5 min.
È il caso della strage della Benedicta, al confine tra la regione Liguria e il Piemonte.
Siamo nel 1944, gli Alleati e i partigiani hanno già costretto il regime fascista a rifugiarsi nel Nord Italia, costituendo la Repubblica Sociale Italiana, stato fantoccio della Germania Nazista. A tutti i giovani del paese viene richiesta la leva, così coloro i quali non vogliono prendere parte alle armate repubblichine cercano di rifugiarsi dentro le brigate partigiane.
Nella parte finale del conflitto i partigiani saranno una grossa spina nel fianco per i nazifascisti, che proveranno ad annientarli in diverse occasioni, come nell'offensiva di Bosio: i reggimenti nazifascisti hanno circondato la zona del Tobbio, costringendo la Brigata Garibaldi a cercare di forzare l'assedio in più punti, mentre sul posto vennero lasciati, a difesa di un'abbazia i miliziani peggio armati della Brigata Autonoma Alessandria. L'attacco al monastero della Benedicta ebbe inizio il 6 Aprile. Si stimano non meno di 5000 uomini ad assedio della zona, supportati da corazzati e un "cicogna". Tutti coloro che vengono trovati fuori dall'abbazia sono catturati o uccisi in loco per velocizzare la marcia verso il monastero.
I gruppi partigiani sono immediatamente catturati, alcuni di loro avevano provato a chiudersi dentro una grotta facendo esplodere l'ingresso, ma anche per loro la sorte aveva previsto l'arresto. Il giorno seguente, il 7 Aprile, ha luogo la rappresaglia: i prigionieri vengono condotti a gruppi di 5, privati di ogni effetto personale per non renderne possibile il riconoscimento, e giustiziati. Si stimano 147 caduti metà dei quali nel corso della rappresaglia del 7 Aprile.